Giorgio Gaber diceva: “Tutta la mia carriera nasce da questa malattia”.

La chitarra, infatti, gli fu messa tra le mani dal padre affinché esercitasse le dita della mano sinistra colpita da una lieve paralisi dovuta ad un attacco di poliomielite.

L’intuizione del padre fu determinante per tutta la vita dell’artista che abbraccia giovanissimo la cultura della “ musica jazz “. I suoi modelli di chitarristi sono i jazzisti come Barney Kessel, Tal Farlow, Billy Bauer, ecc. e anche l’italiano Franco Cerri, diventato per lui il maestro da cui imparare. La passione per il jazz facilita il passaggio fusione con la musica rock.

Sulla formazione di Gaber contribuisce fortemente anche la sua attrazione per la canzone francese degli chansonniers della Rive-gauche parigina, riconoscendone in essa i contenuti di spessore culturale facenti parte della sua ricerca d’innovazione.

Ed è proprio questa ricerca dell’ equilibrio tra le influenze americane ( jazz e rock ) e la canzone francese che lo porterà ad approdare con Sandro Luporini, alla straordinaria esperienza del teatro-canzone, dove l’artista e l’uomo, spogliandosi di un certo narcisismo tenta pur recitando se stesso, una spersonalizzazione che consentirà l’identificazione “ nella persona “ come piena di contraddizioni e dolori. L’opera di Gaber è un’opera d’arte, perché tale è tutto quanto resista nel tempo.